L’Italia ha un esercito nascosto di diplomati “analfabeti” e di giovani che hanno abbandonato la scuola prima del diploma



In Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna uno studente su tre a 18 anni, anche se ha il diploma, non ha le competenze minime per entrare nel mondo del lavoro.
Come ricorda il Corriere della Sera: “Letti uno di seguito all’altro sono i numeri di una disfatta tutta italiana: 21 per cento nel Lazio, un ragazzo su cinque; 23 per cento in Molise, quasi uno su quattro; 25,7 in Basilicata e 26,8 in Puglia. E poi: Campania (31,9), Calabria (33,1), Sicilia (37) e Sardegna (37,4). Sono tantissimi e sono i ragazzi e le ragazze che il nuovo studio dell’Invalsi sulla «dispersione scolastica implicita», firmato da Roberto Ricci, considera perduti dal nostro sistema scolastico. Quelli che non finiscono le scuole superiori più quelli che arrivano sì al diploma finale ma con un livello di conoscenze così basso che quel pezzo di carta non gli servirà a nulla”.





Di solito questa seconda categoria non si conta nei dati ufficiali, quelli che hanno fatto dire al premier Giuseppe Conte nel discorso di insediamento che «la dispersione scolastica resta un’emergenza».
Negli ultimi due anni, complice la crisi, i giovani fra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato la scuola prima del traguardo finale sono tornati a crescere attestandosi sopra il 14 per cento.
Se si sommano a quelli che hanno abbandonato la scuola prima di arrivare al traguardo, il totale è da brivido: 22,1 per cento, più di un giovane su 5. Ma le differenze regionali sono enormi, tanto da disegnare una mappa dell’Italia spaccata in tre parti, dove solo Veneto, Friuli-Venezia Giulia e provincia di Trento riescono a stare vicino o sotto l’obiettivo europeo del dieci per cento di giovani che abbandonano la scuola in anticipo, mentre le altre regioni del Centro-Nord sono fra il 15 e il 20 e al Sud si supera il 25% con punte ben oltre il 30 in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.
Siamo quartultimi in Europa. Peggio di noi fanno solo Romania, Malta e Spagna, mentre siamo stati superati anche dalla Bulgaria. Questi ragazzi che la scuola perde sono condannati alla marginalità sociale. Molti finiscono nei cosiddetti Neet: non studiano né lavorano e nei contesti più svantaggiati diventano preda della criminalità.
Dobbiamo recuperare un ritardo storico.
Nella popolazione tra 25 e 34 anni gli Stati Uniti hanno 42 laureati su 100 e l’Italia appena 21. Nell'Unione Europea il 44 per cento dei manager ha la laurea o specializzazione superiore; in Italia solo il 15, mentre il 37 per cento ha la scuola dell’obbligo. C’è una una carenza di formazione, perché spesso il lavoro non è adatto al lavoratore, o viceversa. Infine c’è un fattore culturale: anni fa nessuno voleva fare il cuoco, era considerato un lavoro di “serie B”; oggi tutti o quasi vorrebbero fare lo chef.
Ai lavoratori fra 20-30 anni serviranno quattro “priorità”: avere una buona preparazione culturale, parlare molto bene almeno l’inglese, conoscere le nuove tecnologie e saper leggere un bilancio.
Il mercato oggi cambia di continuo e non conta quello che sai fare, ma l’attitudine a fare un lavoro e a impararlo facilmente. Il lavoratore del 2030 dovrà capire e risolvere problemi più complessi di oggi.
L’Italia ha bisogno di un vero piano strategico a 20-50 anni. Un piano Marshall per l’istruzione, la cultura, la formazione.


Se vogliamo puntare sul turismo, sul patrimonio artistico, sull'alimentazione, sull'agricoltura biologica, allora bisogna formare persone adatte ai nuovi mestieri per essere competitivi lì. La verità è che oggi non lo sappiamo e formiamo lavoratori pensando solo ai fabbisogni immediati.
Insomma, serve una visione a lungo termine. Occorrono una più efficiente programmazione e una migliore formazione, ma anche un cambio di mentalità.
Fino a 20 anni fa la laurea era un’assicurazione per la vita, oggi non è più così. Il pezzo di carta non basta, servono determinazione e voglia di competere. L’Italia è piena di mestieri artigianali e artistici, oggi molto evoluti grazie alla tecnologia, di gran successo. Anche il restauro potrebbe essere una grande occasione per i giovani che vogliono rimanere in Italia.
Bisogna tenere presente il quadro completo delle opportunità occupazionali. È fondamentale investire in ricerca e sviluppo senza sottovalutare i settori tradizionali, perché la crescita non verrà soltanto da quelli innovativi.
Se vogliamo essere delle persone libere e trasferire le conoscenze e le competenze italiane all’estero bisognerà invertire il trend negativo e convincere la politica (Lucia Azzolina, Giuseppe Conte, #gaetanomanfredi, Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti, Dario Franceschini - pagina ufficiale, Bianca Laura Granato, Roberto Fico) ad investire di più nelle lingue.
Riportare gli insegnanti madre lingue nella scuola statale con ore curricolari, proprio quelle cancellate dalla riforma Gelmini (governo Berlusconi+Lega). L’inglese andrebbe insegnato già nelle scuole materne.
Può sembrare banale ricordarlo, ma l’inglese è lo strumento di maggiore libertà che si può dare ai nostri figli per il lavoro del futuro.
Paolo Latella
Sitografia: 
1) https://www.panorama.it/economia/lavoro/futuro-figli/ 2 ) https://www.corriere.it/scuola/secondaria/19_ottobre_06/dispersione-scolastica-l-esercito-nascosto-diplomati-analfabeti-d01f8306-e678-11e9-9d63-abc92eac7ace.shtml?refresh_ce-cp 3) fonte delle foto: https://pxhere.com - https://www.pixabay.com - http://corriere.it

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