Calamandrei e la regionalizzazione dell’istruzione




Con la regionalizzazione dell’istruzione tutti gli studenti, gli insegnanti, il personale non docente dovranno ubbidire agli indirizzi politici dell’assessorato regionale, nel caso di Lombardia e Veneto alla Lega e dell’Emilia Romagna al PD.

La scuola confessionale sarà riconosciuta “pubblica”.
Eppure Calamandrei nel 1950 affermò:

“Negli stati in cui la scuola privata è in fiore, sono i privati che danno allo stato il contributo della loro ricchezza, per accrescere la vitalità scolastica della nazione. Non il rovescio: cioè che sia lo stato che dimentica di fare il minimo necessario per la propria scuola e che poi disperde i suoi pochi denari in questa specie di protezionismo scolastico che consiste nel dare sussidi alle scuole private.

Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell’articolo 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo stato”.

I partiti di centro sinistra nel 2000 (Prodi, Buttiglione, Berlinguer, D’Alema) approvarono la legge 62/2000 sulla parità scolastica riconoscendo un contributo economico annuale alle scuole paritarie confessionali 500 milioni di lire e con l’ingresso dell’euro divennero 500 milioni di euro e nel 2018 570 milioni di euro fregandosene dell’art 33 della Costituzione. (Contributo confermato dall’attuale Governo nel quale è presente il M5S che nella precedente legislatura aveva portato avanti insieme al sindacato Unicobas una battaglia per la cancellazione di questi contributi).

Con la regionalizzazione dell’istruzione e l’individuazione del costo standard di ogni alunno le scuole paritarie confessionali riceveranno oltre due miliardi di euro.

Le persone che credono che l’autonomia differenziata sia un sistema che migliorerà l’istruzione statale sbagliano perché la scuola statale non esisterà più.
La colpa? Della destra? No ancora la sinistra, e precisamente i DS... l’art. 116 della Costituzione confligge con l’art 33.

Un Interessante articolo sul regionalismo differenziato lo trovate in questo link:
https://www.economiaepolitica.it/2019-anno-11-n-17-sem-1/regionalismo-differenziato-autonomia-regioni-carlo-iannello/

[...]Ci troviamo in presenza di un vero e proprio paradosso: una proposta di attuazione di una disposizione costituzionale in contrasto con la Costituzione stessa. Come ciò sia potuto accedere è spiegabile con la circostanza che l’articolo 116, comma III della Costituzione è una disposizione ambigua, frutto di un testo, quello della modifica del Titolo V del 2001, che enfatizza oltre il ragionevole le differenze, per cui mal si concilia con l’impianto della Costituzione del 1948, in cui l’unità e l’autonomia rappresentano due facce della stessa medaglia e si rafforzano reciprocamente.

L’esito disgregativo e antiunitario che sta assumendo l’attuazione del regionalismo differenziato non stupisce. Si tratta della logica conseguenza di un dibattito sull’autonomismo riemerso nel nostro paese sul finire degli anni ‘80 dello scorso secolo, in coerenza con i postulati neo-liberali che contestano la stessa azione redistributiva dello Stato. Dibattito che nel nostro paese è stato animato da una forza politica antistatale e antiunitaria, la Lega Nord, che ha sempre contestato il ruolo dello Stato e affermato l’obiettivo di far restare «al Nord le tasse del Nord». Obiettivo oggettivamente contraddittorio con l’unità nazionale che se prima era perseguito con una proposta politica eversiva di stampo secessionista, oggi si cerca di camuffarlo sotto le spoglie di un progetto attuativo di una disposizione costituzionale, sfruttando i margini di ambiguità introdotti dalla pessima riforma del tutolo V del 2001.

La Corte costituzionale nella sentenza n. 118 del 2015, ha chiaramente affermato che obiettivi di questo tipo, ipotizzati dalla Regione Veneto, inciderebbero sul principio di eguaglianza, sui compiti redistributivi dello Stato, minacciando l’unità economica e sociale della Repubblica.

Ma questo regionalismo differenziato non comprometterebbe solo l’eguaglianza tra i cittadini. La stessa capacità dello Stato di tutelare gli interessi dell’intera collettività nazionale sarebbe compromessa. Le regioni diventerebbero piccole patrie e lo Stato si ritirerebbe da settori strategici per il sistema paese, con l’effetto di limitare la competitività dell’intero paese, con danni per tutti. Ciò che è a rischio, dunque, non è solo la tutela delle esigenze legate al principio di eguaglianza, ma la stessa capacità del paese di rappresentare un sistema di relazioni sociali, economiche e culturali unitario che si faccia carico dello sviluppo armonioso e contemporaneo dell’intera comunità nazionale. I danni sarebbero avvertiti da tutti, probabilmente in modo maggiore proprio dalle aree più competitive del paese.

La priorità oggi non è affatto l’attuazione di un regionalismo differenziato ambiguo e rischioso, ma il riordino delle competenze tra lo Stato e le regioni per realizzare un assetto dei poteri efficiente e coerente. Solo assieme ad una revisione del Titolo V e ad un riordino complessivo del sistema delle autonomie territoriali, casomai con l’introduzione di una camera delle regioni, si potranno sperimentare ipotesi di differenziazione, senza che questa sperimentazione si traduca in pericoli per il Paese nel suo complesso e in un danno per tutti i cittadini.

Speriamo che vi siano ancora gli anticorpi sufficienti nella politica, nella società e nella cultura di questo paese per arginare proposte di questo tipo e per riprendere la strada maestra che è innanzitutto quella di porre rimedio alle affrettate e pasticciate ‘riforme’ del recente passato. Se così non fosse, dovremmo confidare solo nelle istituzioni di garanzia alle quali, però, da alcuni anni pare stiamo chiedendo davvero troppo.

L’articolo 116, comma III della Costituzione è probabilmente la disposizione più lontana dall’impianto originario della Costituzione proprio perché introduce un processo disgregativo, che può sfociare in una disarticolazione dell’ordinamento, finendo paradossalmente per svuotare di senso lo stesso principio di autonomia, che si lega indissolubilmente ai valori sostanziali (eguaglianza, libertà, partecipazione democratica) affermati dal costituente. Adesso che le indicazioni dell’articolo 116, comma III della Costituzione si stanno traducendo in progetti concreti, le contraddizioni di questo disegno disgregatore con lo spirito e i principi della Costituzione repubblicana stanno finalmente emergendo.


#noregionalizzazione, noautonomiadifferenziata, #m5ssveglia, #nonuovomedioevo, #m5s

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