SE LE SCUOLE ENTRANO IN CLASSIFICA

Se le scuole entrano in classifica


La Fondazione Giovanni Agnelli ha pubblicato nei giorni scorsi le classifiche delle scuole superiori di quattro regioni italiane: Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Calabria. Frutto di un lavoro imponente, che ha coinvolto 145mila studenti di oltre 1000 scuole (licei e istituti tecnici), la ricerca puntava a costruire una classifica basata sugli esiti dei diplomati durante il primo anno di università. 
Tralasciando in questa sede l’analisi sulle modalità di realizzazione delle graduatorie da parte dei ricercatori della Fondazione Agnelli, vale la pena di riflettere sulle finalità e sulle conseguenze possibili di una simile operazione.

Attivare una competizione virtuosa tra istituti
Prima di tutto, il fatto di divulgare delle classifiche di scuole è dirompente in sé. Significa mettere nero su bianco e provare a misurare la differenza qualitativa che certamente esiste tra scuola e scuola anche del medesimo indirizzo di studi: operazione tutt’altro che scontata in un sistema di istruzione che – nonostante la legge sull’autonomia – punta nei fatti alla massima omogeneizzazione tra gli istituti di ciascun indirizzo di studi, in nome forse di un’uguaglianza che rischia di virare verso il basso. La limitata, per non dire inesistente autonomia finanziaria delle scuole, l’impossibilità di esercitare alcun genere di influenza sugli organici e, di conseguenza, la scarsa propensione a sfruttare quei margini di autonomia didattica che pure esisterebbero: questi fattori scoraggiano nei fatti la differenziazione tra le scuole, specialmente statali, rendendo l’offerta didattica apparentemente molto simile in un liceo scientifico di Milano come di Catanzaro o in un tecnico di Reggio Emilia come di Cuneo.
Mettere nero su bianco la miglior qualità di un istituto rispetto a un altro potrebbe generare una competizione virtuosa tra gli istituti: quelli più deboli potrebbero tentare di importare metodologie e progettualità dalle scuole premiate, o di elaborare a loro volta innovazioni importanti. Si sbloccherebbe, almeno in parte, un sistema cristallizzato, andando verso una maggiore autonomia reale degli istituti e riducendo l’omogeneità di cui si scriveva.

L’orientamento alla scelta della scuola superiore
Rendere pubbliche delle classifiche che mettono in fila gli istituti secondari di secondo grado in un dato territorio può avere una ricaduta importante anche sull’orientamento alla scelta della scuola superiore da parte di studenti e famiglie. Allo stato attuale, l’effettiva validità dei vari istituti ricopre, nella maggior parte dei casi, un’importanza secondaria quando viene il momento di iscriversi a una scuola superiore piuttosto che a un’altra.
Il percorso di orientamento, infatti, parte solitamente dalle condizioni soggettive dello studente (rendimento scolastico, interessi e inclinazioni personali, aspettative per il prosieguo degli studi e per la futura carriera lavorativa), e solo in un secondo momento prende in considerazione la qualità della preparazione fornita dai singoli istituti. In altre parole, si tende a privilegiare nella propria scelta una riflessione in termini astratti e soggettivi (“Voglio fare il liceo scientifico perché mi piace la matematica”), piuttosto che un’analisi pragmatica riferita prima di tutto alla reale offerta scolastica del proprio territorio (“Voglio iscrivermi alla scuola Mario Rossi perché garantisce una buona preparazione ai suoi studenti”).
L’idea che possano essere diffuse e prendere piede delle classifiche tra scuole, però, potrebbe progressivamente sovvertire o almeno modificare l’equilibrio tra scelta teorica e scelta pragmatica: la qualità del singolo istituto finirebbe per pesare in misura più rilevante sulla decisione di famiglie e studenti, modificando i percorsi di orientamento e, quindi, anche la scelta finale.

Efficienza ed equità del sistema
Se si realizzassero le due conseguenze esposte qui sopra, competizione virtuosa tra istituti e orientamento pragmatico, le ricadute sull’efficienza del sistema di istruzione sarebbero certamente positive. Le scuole sarebbero spronate a migliorare la loro offerta didattica più di quanto già non avvenga e l’orientamento alla scelta della scuola superiore avverrebbe su basi meno soggettive, offrendo agli studenti più capaci maggiori probabilità di individuare una scuola all’altezza delle loro qualità. Disporre di maggiori informazioni renderebbe inoltre più solida e fondata la scelta anche per gli studenti più fragili, con probabili ricadute positive sul fenomeno della dispersione scolastica.
Resta però sullo sfondo un problema di effettiva equità del sistema. È verosimile pensare che, se le classifiche tra scuole prendessero piede, gli istituti migliori vedrebbero aumentare considerevolmente i loro iscritti e dovrebbero operare una selezione, respingendo una parte più o meno consistente di candidati. Ipotizzando che il criterio di selezione sia il rendimento scolastico, opzione di per sé ragionevole, gli studenti ritenuti meno capaci si troverebbero fortemente svantaggiati nella competizione per assicurarsi le scuole migliori. Ciò potrebbe risultare accettabile in un sistema di istruzione in grado di garantire pari opportunità e colmare, quindi, i divari tra studenti bravi e meno bravi imputabili a fattori socio-culturali e non alla scarsa volontà di far bene: missione in cui, come è noto, la nostra scuola però sta clamorosamente fallendo. L’avvio di una competizione tra gli studenti per l’accesso alle migliori scuole superiori, quindi, non potrà prescindere da un miglioramento complessivo del percorso di istruzione precedente, pena la trasformazione di una possibile innovazione virtuosa in una fonte di ulteriori, gravi ingiustizie.

iMille.org – Direttore Raoul Minetti

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