Un'altra primavera per Cartagine - La Stampa.it


Il Capitolium dell’antica Thugga (Dougga), una città di origine numida diventata il centro del granaio di Roma

Non solo mare e spiagge: la nuova Tunisia uscita dalla rivoluzione dei gelsomini punta sul suo straordinario patrimonio archeologico

MAURIZIO ASSALTO
INVIATO A TUNISI
“E ccola, la Cartagine punica». Dal belvedere della collina di Byrsa, dove si trovava l’acropoli della città rasa al suolo dai Romani nel 146 a.C., Azedine Beschaouch, il ministro della Cultura del governo tunisino succeduto alla ventennale dittatura di Ben Ali, indica i resti di un quartiere dei tempi di Annibale. È questo il paradosso: «Mentre dei livelli più recenti, arabo e bizantino, non è rimasta traccia, è proprio la parte che diciamo distrutta a essere oggi visibile».  

È tornata alla luce tra il 1974 e il 1989, grazie a una campagna internazionale patrocinata dall’Unesco. Giaceva sotto i detriti delle costruzioni demolite dai conquistatori romani, usati come materiale di riempimento quando nel 44 a.C. l’Urbe decise di ricostruire la città e per prima cosa livellò il colle su cui avrebbe eretto il proprio centro monumentale (a sua volta distrutto nel 439 dai Vandali di Genserico).

«Del periodo punico, prima, avevamo soltanto le tombe e i materiali letterari», spiega Beschaouch, che è innanzitutto un archeologo, autorità mondiale nel campo della tutela, dai templi di Angkor alla stessa Cartagine per cui si è speso negli ultimi quattro decenni. Così l’antica rivale di Roma restava una leggenda, in gran parte nera. «Adesso invece si può verificare sul terreno il racconto di Polibio, che seguì Scipione Emiliano nella conquista e descrisse case di 4-5 piani». Ma non solo. «Guardate, la struttura urbanistica è uguale a quella romana, a pianta ortogonale. Sappiamo che qui si insegnava il latino e il greco. Cartagine partecipava a pieno titolo della koiné mediterranea. I Romani hanno alimentato l’immagine di una civiltà barbarica per giustificare a posteriori la distruzione, che aveva essenzialmente cause economico-politiche: due imperialismi che si disputavano le risorse agricole della Spagna e della Sicilia non potevano coesistere, uno dei due doveva soccombere». I sacrifici umani? «Si praticavano solo in situazioni eccezionali, come in tempi diversi avvenne anche presso i Greci, i Celti, gli Ebrei, e comunque cessarono quasi del tutto dal V secolo a.C.: al posto dei fanciulli si impiegavano polli, capre, e nelle dediche si legge “Grazie, Baal, che hai permesso la sostituzione...”».

Alle spalle del ministro, in lontananza, si scorge l’antico porto militare di forma circolare, con un isolotto nel mezzo, dove le navi della superpotenza mediterranea sparivano come per magia sotto gli occhi dei nemici. Di qui Didone seguì con lo sguardo la flotta di Enea in fuga da lei, prima di trafiggersi con la spada, non senza aver maledetto il fedifrago invocando eterna ostilità tra i rispettivi popoli: «Sponda contro sponda, marosi contro flutti, questo m’auguro, armate contro armate: e si combattano, loro e i nipoti» ( Eneide , IV, 628-9). Amore e odio fin dall’inizio, tra le due rive del mare comune.

La nuova Tunisia uscita dalla rivoluzione dei gelsomini, che si avvia tra molte ansie e non poche contraddizioni alle elezioni del 23 ottobre, per il suo futuro (si spera) democratico punta molto sulla cultura: come via per superare l’anatema delle mitica fondatrice, valicando antiche e nuove diffidenze, e come strumento per attrarre più turisti, e quindi più danaro. È per illustrare questi progetti che è stato convocato un gruppo di giornalisti dall’Italia. Non c’è solo Cartagine da vedere. A Tunisi il museo del Bardo, «il più antico dell’universo arabo», come sottolinea il conservatore Taher Ghalia, con cinquemila metri quadrati di mosaici (la collezione più ricca al mondo), sta completando i lavori di ristrutturazione e ampliamento, avviati due anni fa senza mai chiudere al pubblico, che ne faranno entro il marzo 2012 «un museo moderno secondo tutti gli standard internazionali, un vero e proprio museo nazionale, con testimonianze delle civiltà bizantina e islamica, oltre che di quella romana». In molti interlocutori tunisini c’è l’orgoglio di ricordare che fin dall’antichità questa terra è stata un crocevia di culture, dove si parlavano non meno di sei lingue (quella libica dei berberi o numidi, il punico, il greco, il latino, l’ebraico, perfino l’etrusco), dove ha tenuto lezione sant’Agostino (nativo della parte algerina dell’antica Numidia), che ha visto (nel 1861) la prima costituzione nordafricana, che addirittura ha dato il suo nome all’intero continente (Africa, dalla locale tribù berbera degli Afri, era la denominazione della prima provincia creata dai Romani su questa sponda del Mediterraneo).

Da Nord a Sud, sono decine i siti piccoli e grandi che hanno da offrire imprevedibili meraviglie. Come Oudhna, a pochi chilometri da Tunisi, dove un archeologo paziente e appassionato che di nome fa Habib Ben Hassen sta recuperando le imponenti vestigia di Uthina: anfiteatro, terme, Capitolium , domus lussuose. Impressionanti testimonianze del fecondo incontro tra elementi locali e conquistatori romani.

«Solo Cartagine fu distrutta, tutte le altre città ebbero un grande sviluppo», osserva Mustapha Kanoussi, che per 15 anni è stato il conservatore di Dougga, l’antica Thugga, il secondo sito più importante del Paese: una città fondata dai Numidi nell’VIII secolo a.C., citata nel IV da Diodoro Siculo come una polis bella e grande, passata sotto il dominio dell’Urbe nel 46 a.C., per diventare il vero centro del granaio di Roma. Un teatro molto ben conservato, ninfei, archi di trionfo, templi, domus : qui tutto parla della pacifica coesistenza e a volte della fusione tra antichi abitanti e nuovi venuti. In particolare è significativa l’area del Capitolium : «Un riassunto della storia di Dougga, anzi di tutta la Tunisia», dice Kanoussi. Da un lato c’è il foro, che era chiuso in fondo dal tempio di Mercurio, fatto costruire dal colono latino Quintus Pacuvius Saturus e dalla moglie berbera Nahania Victoria; dall’altro lato l’antica agorà dei Numidi, in cui il monumento consacrato al re Massinissa nel 139 a.C. è stato conservato dai Romani che vi eressero di fronte il tempio dedicato a Tiberio. Da solo, questo sito vale il viaggio.

Ma la cultura, per ora, non porta molti turisti: «Tra i 60 e gli 80 mila ogni anno», sospira Kanoussi, «pochi rispetto al valore archeologico di Dougga. Si capisce, dista due ore e mezza di auto da Tunisi, tre ore da Hammamet...». Ancora peggio va a Oudhna, nonostante sia più accessibile, e sebbene qui siano venuti a girare alcune scene di Assassinio in Mesopotamia , dal giallo di Agatha Christie, e un film su san Pietro con Omar Sharif: «Visitatori? Mica tanti», borbotta Ben Hassen. Il problema, come dice Ghalia, il conservatore del Bardo, è che «oggi il turismo culturale è un sottoprodotto di quello balneare». Una situazione che fin dal ’97 la Banca Mondiale aveva sollecitato a ribaltare. Adesso il nuovo governo si sta dando da fare. Mehdi Houas, il dinamico ministro del Turismo, è un manager che ha sempre lavorato all’estero, con studi anche al Politecnico di Torino. Ha le idee chiare: «Ben Ali aveva investito sulla costa, ma il nostro patrimonio culturale è nell’interno. È qui la vera Tunisia, quella che vogliamo far conoscere al mondo e sulla quale puntiamo per accrescere il numero dei visitatori. L’anno scorso sono stati 7 milioni, il mio obiettivo è arrivare a 10». Per questo occorre creare un circuito, migliorare la rete stradale e le altre infrastrutture, sensibilizzare i tour operator, inventare sinergie. «Per esempio, ai turisti che visitano il Colosseo a Roma si potrebbe proporre un ponte aereo con il nostro “Colosseo” di El Djem, una replica meglio conservata: sono 45 minuti di volo, si può andare e tornare in giornata».

Poi, naturalmente, c’è il discorso della tutela, dopo i guasti del regime. «Non basta conservare il singolo monumento», spiega Beschauoch, il ministro della Cultura, «adesso bisogna prestare attenzione anche all’ambiente che sta intorno al monumento». In Tunisia la cricca di Ben Ali aveva sottratto decine di oggetti dal Bardo per farne graziosi cadeaux , addirittura aveva declassato 16 ettari dell’area archeologica di Cartagine, patrimonio Unesco, per renderla edificabile e venderla a 1000 dinari (poco più di 500 euro) il metro quadro agli amici degli amici. Su 12 di quegli ettari il nuovo governo è riuscire a bloccare le ruspe, nei quattro che si era riservato Ben Ali sono già stati ultimati 85 appartamenti con vista prestigiosa sulle rovine, costruiti in una corsa contro il tempo, prima che qualcosa (hai visto mai, una rivoluzione...) li bloccasse. E adesso? «Abbattere queste case è inutile, perché ormai quel che c’era sotto è stato distrutto. E manca il denaro. Per il nuovo museo di Cartagine servono 15 milioni di euro, non sappiamo dove trovarli». Qualcuno, tra i giornalisti italiani, suggerisce di fare come da noi: un bel condono, duecentomila euro a testa e saltano fuori i soldi per il museo. Beschaouch sorride, non ci aveva mai pensato, si interessa: «Perché no, perché no... È un’idea».

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