Come mai la matematica è così difficile?



Come mai la matematica è così difficile?

di Alessandra Angelucci

 Noi docenti di Matematica dobbiamo confrontarci spesso con la difficoltà che i nostri studenti incontrano in matematica. Le statistiche inerenti le sospensioni di giudizio di fine anno ci danno i numeri di questa difficoltà. I testnazionali e internazionali ce ne offrono declinazioni.  

Chiedere in giro “… tu e la matematica?” ad adulti anche colti e sensibili è semplicemente straziante (con qualche sorpresa fra molte tristi conferme).

Il confronto con i media, e le dichiarazioni pubbliche in genere, ci danno il colpo di grazia.

La matematica è difficile? O è solo impegnativa?

Domande troppo impegnative e importanti per arrischiarmi a rispondere da sola. Ho girato perciò tali domande a insegnanti più esperti di me e a ricercatori universitari (in didattica e non) per chiedere una loro opinione. Mi ha risposto Walter Maraschini:

Non è che la matematica, di per sé, sia difficile. E’ però impegnativa. Richiede cioè impegno e applicazione prima che arrivi il piacere. La matematica, cioè, non è una marchetta, sesso a pagamento, soddisfazione subito che muore nel momento in cui nasce. Richiede impegno e partecipazione – affetto e consapevolezza per qualcosa che arriverà – prima che arrivi il piacere, pregustandone l’arrivo.

Una raffinata esperienza erotico-intellettuale insomma. E’ un gusto che si forma e richiede una capacità di proiezione (1).

“Che tajo, presso’!” – a Roma vuol dire “che bello!” – ha esclamato una mia studentessa pochi giorni fa, alla fine della dimostrazione del fatto che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a un angolo piatto.

Non l’aveva entusiasmata il risultato (che già conosceva) ma il ragionamento che vi ci portava. [E il fatto di “vedere” quella dimostrazione, non solo con gli occhi, ma di saperla mettere in relazione con quanto sapeva già]

Non è difficile la matematica: è impegnativa. E quando è possibile va fatta vincere la bellezza di un impegno entusiasta: va fatto capire che tra l’oggi e il domani c’è sempre un percorso; va fatta vivere, perciò, la bellezza della ricerca del percorso.

Walter Maraschini propone di riflettere su uno dei punti chiave dell’insegnamento: il saper comunicare che la fatica non è fine a se stessa ma è orientata al raggiungimento di un piacere! Che non dobbiamo faticare per faticare ma per essere in grado alla fine di spassarcela (2). Anche risolvendo un problema di matematica, perché no?

Però quanto ci piace insegnare?

Stiamo parlando del piacere di capire, comunicare, scegliere e degli innumerevoli contributi della matematica alla Cultura in genere, ma si potrebbe fare anche un esempio banale: si spendono fiumi di grafite per giochi come ilSudoku, vuoi mettere un bel problema di geometria analitica? O un teorema di quelli fatti bene?

Questo è un aspetto importante che riguarda noi insegnanti: quanto ci impegniamo noi nel comunicare il piacere d’imparare? Quanto ci piace insegnare?

Senza questa prospettiva di piacere, quanto è più difficile convincere gli studenti a farsi carico della responsabilità, e della fatica, del proprio percorso formativo? Senza questa assunzione di responsabilità d’altronde è impossibile imparare proficuamente, in particolare la matematica.


Lo scorso anno insegnavo in una classe terza di Liceo Scientifico. Uno dei miei studenti non bravi faceva Rap. L’ho ascoltato esibirsi a scuola e l’ho trovato bravissimo. Mi è saltato in particolare agli occhi l’impegno che metteva nel creare strutture ritmiche per poi riempirle utilizzando il linguaggio in un modo che il suo rendimento scarso (anche in altre materie) non avrebbe mai fatto sospettare. Allora l’ho sfidato: gli ho chiesto di scrivere un brano sulla sua difficoltà in matematica e sulle difficoltà della matematica. Ecco quello che ne è uscito fuori:Dandoinumeri.

Il panico è uno dei sentimenti che purtroppo la matematica può suscitare. Specialmente poi quando capita – e purtroppo capita – di incontrare insegnanti che umiliano gli studenti o li terrorizzano, ecc…

La Matematica non è innata, anzi è per certi aspetti innaturale

Ma continuiamo col sentire cosa mi ha risposto un matematico di professione, Domenico Fiorenza:

Onestamente non ho idea del perché la matematica sia difficile. Io l’ho sempre trovata facile. Se penso a cose difficili penso alla storia o alla politica, l’economia. Cose con un’infinità di variabili e di possibili interpretazioni tutte ragionevoli e allo stesso tempo in contraddizione tra loro. La matematica credo sia invece “non interessante“, nel senso che quando la si comincia a studiare non si vede subito il suo impatto nel quotidiano, uno pensa, “ma che me ne frega a me de ‘sta roba?” e così si perde le basi, e poi è perso per sempre.

Domenico Fiorenza tocca alcuni degli argomenti più delicati ribaltando quella che è una percezione diffusa su cosa sia facile e cosa no. Sulla stessa linea Domingo Paola:


La matematica è, sotto certi aspetti, innaturale: uno dei vantaggi evolutivi dell’homo sapiens sapiens è la capacità di accorgersi delle variazioni. I nostri antenati non avrebbero avuto sensibili possibilità di preservare la specie se, nella dura vita della savana, non fossero risultati particolarmente efficienti ed efficaci nell’accorgersi delle variazioni: un movimento nel buio della savana può voler dire pericolo e accorgersi immediatamente del suo accadere aumenta le probabilità di salvarsi.

Per natura, siamo quindi particolarmente attenti a ciò che varia: un bambino che vede un parallelogramma trascinato per uno dei suoi vertici in un software di geometria dinamica [a es.geogebra, un software libero], nota immediatamente e naturalmente, senza alcuna difficoltà, la variazione delle dimensioni, del perimetro, dell’area, delle misure angolari… fa invece fatica a guardare il movimento con occhio matematico, prestando attenzione, quindi, non a ciò che varia, ma agli invarianti, ossia a ciò che, nel movimento, resta immutato: per esempio il parallelismo dei lati; il centro di simmetria; l’uguaglianza dei lati opposti del parallelogramma…

Questa capacità di cogliere invarianti è una capacità tipicamente matematica, è la capacità di vedere i fenomeni con occhio matematico e, anche se è una caratteristica del pensiero umano, è meno naturale della capacità di cogliere differenze e variazioni. Va quindi coltivata, guidata, faticosamente acquisita.

Sull’innaturalezza della matematica – e quindi sulla necessità assoluta di apprenderla per tempo e per bene – si spende molto anche un’altra docente-ricercatrice (che ha scritto nel 1990 un libro molto interessante - Il Pensiero allo specchio, La Nuova Italia – del quale dovrebbe uscire a breve il seguito), Laura Catastini:

L’apparato mentale è vincolato da stretti parametri, pur nella sua plasticità: se per esempio, tanto per parlare di una capacità innata, non si impara a parlare entro i dodici anni, si perde per sempre questa possibilità e ci potrà esprimere solo in forma ridotta, senza sintassi.

Lo scrivere e il calcolo poi non sono innati, e l’addestramento cognitivo dato dal processo di scrittura è fondamentale in una società in cui la cultura ha un estremo carattere simbolico come la nostra.

Un esempio di innaturalezza e formatività a un tempo della matematica è dato da un’attività che gli studenti sanno (senza saperlo) essere fondamentale per risolvere un problema di geometria, e cioè il ricentramento cognitivo. Ci spiega cosa sia sempre Laura Catastini:


Dato un quadro concettuale, il ricentramento cognitivo si attua ogni volta che tra gli elementi costitutivi del quadro stesso si intravedono nuove relazioni, che ne fanno emergere nuova conoscenza rispetto a quella iniziale

(cfr. quelle immagini della Gestalt che cambiano a seconda del “come le si guarda”: la donna con cappello che è anche una vecchia con il nasone, ecc).


Per esempio, guardando la bandiera della Finlandia, quanti rettangoli vedi (i quadrati sono rettangoli particolari)? Con un’osservazione superficiale si potrebbe rispondere 4, oppure 5 – considerando anche la bandiera stessa – ma guardando con maggiore attenzione (si potrebbe dire con “occhio matematico”) si può vedere che, considerando la croce al centro come fatta di due segmenti, i rettangoli sono 9, altrimenti ancora di più!).





Matematica = concentrazione, vedere legami e connessioni, attività dinamiche

Questo movimento di pensiero spesso cambia il ruolo o la funzione di uno o più elementi del quadro che si sta trattando, a es. l’altezza di un triangolo isoscele può essere considerata anche cateto di ciascuno dei due triangoli rettangoli congruenti in cui l’altezza stessa divide il triangolo, oppure bisettrice dell’angolo opposto alla base, oppure facente parte dell’asse della base stessa.





La capacità di vedere nuovi legami significativi e connessioni tra cose diverse, anche molto distanti tra loro, è uno dei tratti importanti dell’intelligenza, che viene in questo senso sottoposta a un buon addestramento (ma faticoso e per questo percepito come difficile) da parte della matematica.


Ma è anche quello che fanno gli artisti quando rileggono, in una chiave mai utilizzata prima, la realtà in cui viviamo tutti, no? E che ci costringono a fare quando ci troviamo davanti alle loro opere. Solo che in quel caso le emozioni hanno un peso così preponderante da non far percepire la fatica. E torniamo al ruolo dell’insegnante e all’importanza che prenda su di sé tutti gli aspetti peculiari del proprio mestiere anche quelli emotivi e affettivi oltre a quelli prettamente cognitivi: sono intercorrelati, imprescindibili! Per poter finalmente passare dalbuio alla chiarezza.


Stiamo quindi vedendo come la matematica sia faticosa – perciò difficile – non solo perché richiede un altissimo grado di concentrazione, controllo e profondità su singole attività, in qualche modo fisse: la precisione del linguaggio nelle definizioni, il rigore necessario per effettuare un calcolo, ecc. – aspetti questi comunemente ascritti alla materia – ma sopratutto in quanto chiede di effettuare attività dinamiche, come il ricentramento cognitivo o il rimpallo fra analisi e sintesi necessario alla risoluzione di un problema di geometria analitica (come per la traduzione di una versione di latino, del resto).


“La matematica è impegnativa, la matematica è faticosa”. Tante cose sono faticose, si potrebbe obiettare. Perché quello della matematica è un impegno nel quale non si riesce a coinvolgere troppi studenti prima e troppe persone adulte poi? Sinora abbiamo visto molti aspetti che giustificano questa problematicità, ma ci siamo addentrati ancora poco all’interno della materia.


Quante risposte possibili alla domanda: “Ma cos’è la Matematica?“

In realtà avrei voluto cominciare questo articolo cercando di spiegare proprio cosa sia la Matematica, ma Domingo Paola (che mi ha aiutato tantissimo nel preparare le puntate alla radio, rileggendo e commentando le mie proposte, quindi mi ha consigliato anche questa volta) mi ha messo in guardia: “Attenta, non c’è un’unica e condivisa definizione di Matematica!”. E questo è un buon argomento ancora: CONTRARIAMENTE A QUEL CHE SI PENSA,non c’è un’unica, monolitica e condivisa concezione di Matematica. Neanche della Matematica da insegnare.


Utilizzando una schematizzazione bianco/nero proposta da una ricercatrice il cui lavoro è molto interessante –Rosetta Zan – potete vedere come ci siano modi antitetici di pensare la matematica (come ogni schmatizzazione è ovvio che anche questa è molto rigida e rappresenta estremi fra i quali sono comprese molte possibili sfumature, ma è utile per focalizzare il problema).

Strumentale  - Relazionale - Formule - Ricordare - Esercizi - Prodotti

- Ragionare - Pensare - Problemi - Processi

E può accadere che uno studente abbia un’idea di matematica differente da quella del proprio insegnantee quindi entrino in conflitto (e chi “perderà”?)!

E ancora può capitare che uno studente cambi un insegnante all’anno e ciascuno di questi abbia un’idea di matematica differente dal precedente (e convinto che la propria sia giusta): non sempre accade infatti che un insegnante abbia effettuato una riflessione attenta e consapevole sulla propria idea di matematica e di insegnamento della stessa.

Favorire questo tipo di consapevolezza era uno dei meriti delle S.S.I.S. (Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario) che però sono state chiuse senza che ancora siano stati attivati canali alternativi di formazione degli insegnanti.

Per esempio ho condiviso una classe con un collega: io insegnavo fisica e lui matematica. Una volta si è lamentato dicendo “… e poi mi chiedono sempre “perché?” quando spiego loro cose di matematica. “Perché e perché: sono solo tecniche per risolvere problemi, mica dobbiamo fare della filosofia!”. Posizione senz’altro legittima ma, per esempio, diametralmente opposta alla mia (come potrà constatare chi avrà voglia di ascoltare qualcuna delle puntate radio dedicate alla matematica che si trovano qui)

La matematica non è “accessibile” direttamente ai nostri sensi

Ma entriamo ancora un po’ di più DENTRO la matematica. Qual è una caratteristica comune – forse più evidente – agli oggetti della matematica (numeri, figure geometriche, formule, teorie, relazioni, funzioni, ecc.)? EBBENE sì:non sono accessibili ai nostri sensi.

Non è possibile assaporare un numero, ascoltarne la voce, tastarne la consistenza, odorarlo e nemmeno vederlo. La nostra esperienza degli “oggetti matematici” è fondata sui contatti che abbiamo con le loro rappresentazioni. E questo fatto è egregiamente tratteggiato dal Paradosso di Duval che ho scoperto leggendo “Didattica della matematica” di Bruno D’Amore (vedi qui e qui).

Da una parte l’apprendimento di oggetti matematici non può che essere un apprendimento concettuale e, d’altra parte, è solamente attraverso rappresentazioni [semiotiche] che un’attività sugli oggetti matematici è possibile.

Questo paradosso può costituire un circolo vizioso per l’apprendimento. In che modo infatti soggetti in fase di apprendimento potrebbero non confondere gli oggetti matematici con qualche loro rappresentazione se possono avere a che fare solo con rappresentazioni?

L’impossibilità di un accesso diretto agli oggetti matematici, al di fuori di qualunque rappresentazione rende la confusione pressoché inevitabile. E, di contro, come possono acquisire la padronanza dei procedimenti matematici necessariamente legati alle rappresentazioni se non hanno già compreso concettualmente gli oggetti rappresentati?

E a volte uno stesso segno rimanda a discorsi matematici – se non differenti – leggermente slittati (com’è per il simbolo di frazione che può avere più di un’accezione possibile) o anche per il segno di uguaglianza: se si scrive a + c = b il segno uguale può rinviare alla relazione fra a + c e b (in senso strutturale in ogni discorso in cui compare a + c esso è sostituibile con b), oppure, in senso procedurale, vuol dire che il risultato del processo a + b è c. Oppure ancora, se al posto di b leggiamo a + x = b diventa una domanda: qual è il numero che addizionato ad a dà come risultato b?

Più spesso, di uno stesso concetto ci sono più rappresentazioni: verbale, numerica, grafico-geometrica, simbolica, ecc. Come accade per esempio con la retta: posso considerarla come ente fondamentale della geometria, darne una rappresentazione grafica (di una sua parte, almeno) mediante un disegno, posso dire che è data dall’intersezione di due piani, posso darne l’equazione rappresentativa (in geometria analitica): y = m ∙ x + q, ecc. E solo comprendendo tutte queste rappresentazioni e il legame fra l’una e l’altra possiamo dire di aver compreso cosa sia una retta, ma ciascuna di queste NON è una retta!

L’importanza didattica del gioco e dell’errore
Quanto noi insegnanti siamo consapevoli che non basta presentare la rappresentazione di un concettoagli studenti e insegnare loro a “giocare” con questa rappresentazione, per esser certi che abbiano compreso il concetto invece delle regole di gioco con quella sua singola rappresentazione? Quanta attenzione prestiamo nel mostrare che di uno stesso concetto sono possibili più rappresentazioni e quanto aiutiamo i nostri studenti a passare da una rappresentazione all’altra?
Quanta attenzione prestiamo all’importanza didattica dell’errore, di cui parleremo più avanti e del “prendersi cura” degli studenti, che ho richiamato più volte e di cui parlerò ancora.

Dal punto di vista delle relazioni umane infatti ancora Domingo Paola mi segnala come per molto tempo la matematica sia stata utilizzata, nell’insegnamento, come uno dei pricipali e più efficaci strumenti selettivi. Non comprendi la dimostrazione del teorema che afferma che gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali? Sei destinato a non oltrepassare il ponte che porta dalla scuola di base ai livelli successivi.

Forse non a caso quel teorema è noto come il pons asinorum, che evoca l’immagine degli asini impossibilitati per le vertigini a oltrepassare il ponte, triste e violenta metafora per riferirsi a chi non capisce la dimostrazione del teorema.


E chi, avendo almeno una cinquantina d’anni, non si ricorda le interminabili ore passate durante tanti anni scolastici a semplificare espressioni a più piani? Insomma, sempre per farla breve, ore e ore di esercizi spirituali per la conquista di tecniche, spesso fini a loro stesse, con poca o nessuna attenzione per la risoluzione di problemi, per le applicazioni, per la storia della disciplina.

Tutto ciò, spesso condito da una minima attenzione agli aspetti emozionali-affettivi, ha creato intorno alla matematica un’aura di aridità, difficoltà, astio, timore.

Sull’onda di questi aspetti più prettamente relazionali concludo con alcune considerazioni di Rosetta Zan – intervista sul sito Treccani – sull’atteggiamento tipico del docente “medio” di matematica di fronte all’insuccesso di uno studente.


Domanda: Molti sono gli studenti che continuano a commettere gli stessi errori anche se l’insegnante si affanna a rispiegare più volte per correggere l’errore. È possibile prevenire queste difficoltà?

Risposta: Parto dal fondo della sua domanda. Uno dei punti cruciali è proprio quello che dice lei: ‘l’insegnante si affanna a rispiegare più volte per correggere l’errore’. In quell’affanna è ben sintetizzato lo sforzo dell’insegnante, accompagnato da ansia, e direi da una scarsa fiducia che l’insegnante stesso ha imparato a nutrire nell’efficacia di questo sforzo…

Ma in quale comportamento si concretizza questo sforzo? Come dice lei, nel ‘rispiegare più volte’. Quel‘rispiegare più volte’ non è l’unico comportamento che l’insegnante ha a disposizione [MA SPESSO NON LO SA].

Inoltre è un comportamento che non è fondato su un’analisi attenta delle difficoltà. A questo proposito mi sembra molto espressiva la metafora della medicina.

Immaginiamo un medico che di fronte a un disagio del paziente continui a dare la stessa cura, pur se la cura si è dimostrata inefficace (e non solo con quel particolare paziente, ma con molti di quelli che manifestano lo stesso disagio). Immaginiamo addirittura che il medico si lamenti del paziente, perché non ha risposto positivamente alla cura!

Tutto questo ci appare – giustamente – paradossale. A quel medico ci verrebbe spontaneo dire: ma è sicuro che quella cura vada bene per la malattia del suo paziente? È sicuro che la sua diagnosi sia corretta? Non sarà il caso di fare altri accertamenti?

Eppure è esattamente quello che succede a scuola quando ‘l’insegnante si affanna a rispiegare più volte per correggere l’errore’.


Come dice Bruno D’Amore:


L’errore è visto con una connotazione negativa (quanti scarabocchi fanno gli studenti sui loro fogli per nascondermi gli ERRORI che fanno?) e non come “sintomo” di un malessere cognitivo da curare.

Il fatto è che nella scuola c’è un sottile senso di moralismo che ci fa sentire in pace con la nostra coscienza se in qualche modo ‘soffriamo’ [e così chiudiamo il cerchio in opposizione a quanto diceva all’inizio Walter Maraschini a proposito del piacere dell’imparare] Ma tutto ciò è ben lontano dalla razionalità nell’affrontare i problemi, che fra l’altro è uno degli obiettivi fondamentali dell’insegnamento della matematica!


Conclusioni

Le risposte che Catastini, D’Amore, Fiorenza, Maraschini, Paola, Zan, hanno dato alla mia domanda “Perché la matematica è così difficile?” aprono prospettive non tutte consuete (almeno per me è stato così) e filoni d’indagine complessi e articolati. Dalle loro risposte emerge come il “problema dell’insegnamento della matematica” – come tutti i problemi delicati che riguardano umane vicende – per essere risolto, o quantomento affrontato con serietà, richiede grande impegno, competenza, passione: non ci sono formule magiche, scorciatoie o formule da bar. Queste poche righe non hanno nessuna pretesa di esaustività e non vogliono che essere spunti per aprire la discussione e, insieme, cercare di fare qualcosa affinché la matematica non sia più “la bestia nera” delle discipline insegnate a scuola; né un passaggio ostruito di accesso alla comprensione della realtà che ci circonda.


Note

1. Tanto è importante questa capacità di proiezione, di previsione, che Laura Catastini l’ha messa al centro di una nuova definizione di concretezza basato, piuttosto che su criteri sensoriali, su criteri inerenti appunto la predittività (sulla scia della scoperta dei neuroni specchio e del loro ruolo fondamentale). Definito come SIMULABILE qualcosa a proposito del quale è possibile fare inferenze su questo qualcosa (non necessariamente solo verbali) con carattere predittivo. Ora, nella nuova accezione proposta da Laura Catastini, un qualcosa sarà da ritenersi tanto più concreto quanto più SIMULABILE.


2. Per “spassarsela” è necessario avere un mondo interno di rappresentazioni che sia in grado di accogliere i nuovi concetti che man mano incontriamo, organizzando loro l’accoglienza ancor prima che arrivino!


3. Questa canzone è stata scelta per scuotere la cappa di terrore e eccessiva reverenza che accompagna la matematica ma sopratutto per il suo titolo che descrive esattamente un’attitudine, una tentazione, una pretesa comune a molti insegnanti: quella di cancellare quello che già presente nella mente degli studenti – acquisito con l’esperienza e negli anni precedenti di studio e elaborato in base a gusti e attitudini personali – per inserirvi ex novo nozioni, concetti, relazioni, ecc…


PS: questo articolo è la rielaborazione di un testo che avevo preparato per una trasmissione radio andata in onda il 28/03/2011 su Radio Città Futura. La trasmissione era introdotta da un brano musicale e prevedeva 10’ di parlato alternati a brani musicali attinenti al tema trattato. Pur modificando in parte la scrittura ho voluto lasciare, nelle posizioni originali, i link youtube alle canzoni mandate in onda con una breve spiegazione delle motivazioni della scelta. Potete ascoltare la puntata radio, assieme ad altre sempre di argomento matematico, qui.

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