Troppo Facebook, il posto è a rischio

Le interferenze tra social network e rapporto di lavoro sono sempre più frequenti. Alle aziende conviene perciò adeguare le proprie policy, dettando regole chiare per l'utilizzo di Facebook – che è il più diffuso – e degli altri social network.
Un primo gruppo di questioni riguarda l'accesso durante l'orario e sul posto di lavoro. Si tratta di tempo impiegato in un'attività extralavorativa durante l'orario di lavoro e quindi sottratto alla prestazione contrattualmente dovuta al datore di lavoro. È stata coniata al riguardo l'espressione "assenteismo virtuale". Siamo certamente nel campo dell'inadempimento, che potrà avere conseguenze disciplinari più o meno gravi a seconda della quantità di tempo sottratto al lavoro, della sistematicità del comportamento e delle concrete circostanze del caso. Quasi sempre, poi, gli accessi dal posto di lavoro avvengono utilizzando strumenti aziendali (pc, server e connessione internet), il che può porre problemi di sicurezza del sistema.
Alcuni datori di lavoro affrontano il problema "razionando" i tempi di accesso o limitandoli alla pausa pranzo; altri, rischiando l'impopolarità, lo risolvono bloccando a monte, con un intervento sul sistema, la possibilità di accedere a Facebook e agli altri social network. Si tratta in entrambi i casi di provvedimenti legittimi. Anzi, il blocco preventivo è considerato dal Garante della Privacy, nelle sue Linee Guida per posta elettronica e internet del 1° marzo 2007, preferibile all'effettuazione di controlli successivi, dai quali può derivare un trattamento di dati personali del lavoratore, anche sensibili. Non va dimenticato, infatti, che i controlli sugli accessi a internet (e quindi anche a Facebook) dal posto di lavoro sono ben possibili, a condizione che il datore di lavoro si doti di una policy sull'utilizzo degli strumenti informatici che disciplini (anche) tempi e modalità dei controlli medesimi, meglio se "validata" da un accordo sindacale o da un'autorizzazione del l'Ispettorato del Lavoro.
Una seconda questione riguarda le possibili conseguenze per il lavoratore – fino al licenziamento – della diffusione di commenti negativi sul proprio datore di lavoro o di informazioni riservate sull'attività aziendale. Facebook, per i suoi stessi meccanismi, è un ambiente pubblico o quantomeno semi-pubblico. Quindi, per i commenti e le opinioni espresse dal lavoratore sul proprio datore di lavoro, si pone lo stesso problema di bilanciamento tra diritto di critica e dovere di fedeltà e riservatezza più volte affrontato dalla giurisprudenza con riferimento a dichiarazioni diffuse tramite giornali, televisioni e altri mezzi di manifestazione del pensiero. La Cassazione, al riguardo, ha più volte affermato che il diritto di critica del lavoratore è sottoposto a peculiari limiti in considerazione degli obblighi di collaborazione e fedeltà che gravano sul dipendente.
E così potranno essere disciplinarmente sanzionabili anche i commenti denigratori che possano recare danno all'impresa, tanto più se arbitrari e gratuiti, così come la diffusione di notizie e informazioni riservate. Naturalmente, spetterà al giudice valutare in concreto la gravità del fatto e, quindi, la proporzionalità della sanzione eventualmente irrogata dal datore di lavoro al dipendente, tenendo conto del contenuto delle dichiarazioni, dell'ambito di pubblicità e della finalità delle medesime, dell'intenzionalità della condotta.
Un'ultima questione riguarda l'abitudine, ormai piuttosto frequente, di utilizzare Facebook per attingere informazioni sui candidati all'assunzione. Questo comportamento viene sovente giustificato con il fatto che si tratta di informazioni personali che lo stesso soggetto sceglie di rendere in qualche modo pubbliche, quantomeno in ambiti particolari ("amici" o "amici degli amici"). Ma il problema è un altro. L'articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori, richiamato anche dal Codice della Privacy, vieta qualsiasi indagine, anche pre-assuntiva, non solo sulle opinioni del lavoratore, ma anche su qualsiasi fatto che non sia rilevante ai fini della valutazione dell'attitudine professionale. La ricerca di informazioni personali sul candidato tramite Facebook è quindi da considerarsi illecita, ma è anche pericolosa per chi la effettua, dal momento che la violazione dell'articolo 8 dello Statuto dei lavoratori è sanzionata penalmente.
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La ricetta per evitare le liti

01 | TEMPO LAVOROI dipendenti che accedono ai social network durante l'orario e sul posto di lavoro "danneggiano" la prestazione contrattualmente dovuta in quanto sottraggono tempo all'attività lavorativa. Si tratta di un inadempimento sanzionabile.  Non solo: utilizzando il pc aziendale (e il server per la connessione a internet) il comportamento può creare anche problemi di sicurezza del sistema

02 | COMMENTI E INFORMAZIONISanzioni disciplinari – fino al licenziamento – hanno già colpito i lavoratori che hanno denigrato sulla propria bacheca i superiori o l'azienda per la quale lavoravano. È possibile che nell'intenzione dei lavoratori si tratti di semplici considerazioni, al di fuori dell'ambito lavorativo. Ma la potenzialità diffusiva di Facebook impedisce di considerarli tali
03 | POLICY AZIENDALEAlle aziende conviene adottare o adeguare le proprie policy, dettando regole chiare per l'utilizzo di Facebook
– che è il più diffuso – e degli altri social network
04|APPROCCIO RADICALEL'azienda può vietare l'accesso dal posto di lavoro, inibendolo con un filtro preventivo sul server aziendale
05|APPROCCIO SOFT In alternativa, il datore di lavoro può regolamentare l'accesso, limitandolo in termini di tempo e di orari oppure facendo un generico riferimento a criteri di ragionevolezza.
06|APPROCCIO MISTO C'è un'altra ipotesi, una sorta di "compromesso" tra le prime due: il datore può bloccare l'accesso dal server aziendale e allestire una o più postazioni stand alone, con accesso autonomo a internet, dalle quali sia possibile accedere alla rete e quindi ai social network, magari solo in determinati orari e per un tempo massimo di connessione.

07|IL POST È PUBBLICO All'azienda conviene avvertire chiaramente i dipendenti che i siti di social network non hanno carattere "privato" e che tutto quello che viene "postato" diviene, di fatto, pubblico

08|CONTROLLO È opportuno informarli che gli accessi, il loro numero e la loro durata possono essere oggetto di controllo da parte dell'azienda, secondo le regole e le modalità stabilite nella policy

09|DIVIETI Tramite i social network non possono essere diffuse informazioni confidenziali sull'azienda, la sua attività, i suoi prodotti, le sue politiche e i suoi processi produttivi, nè riprodotti o copiati documenti aziendali. Nessun commento negativo sulla società, sui suoi dirigenti e amministratori, sui colleghi di lavoro può essere pubblicato sui social network. È vietata la diffusione di dati personali di altri dipendenti.

10|MOBBINGNell'utilizzo dei social network il lavoratore deve astenersi da ogni condotta che possa costituire molestia, discriminazione o mobbing nei confronti dei colleghi di lavoro.

11|LE SANZIONILe prescrizioni contenute nella policy vanno collegate con il codice disciplinare aziendale, in cui per ogni condotta vietata si prevedono sanzioni disciplinari in base al principio di proporzionalità (articolo 2106 del Codice civile).
12|LA PUBBLICITÀIl codice deve essere affisso in un luogo accessibile a tutti i lavoratori.

13|MULTE O SOSPENSIONEPossibili sanzioni: rimprovero verbale o scritto, multa per un importo non superiore a 4 ore della retribuzione base, sospensione dal servizio e dalla retribuzione per non più di 10 giorni.

14|L'ITERPreventiva contestazione scritta degli addebiti; termine non inferiore a 5 giorni per presentare le giustificazioni

15|DURANTE IL LAVOROUn quarto degli impiegati tra i 18 e i 29 anni – secondo una ricerca condotta in Gran Bretagna – passa più di tre ore alla settimana sui siti di social networking

SELEZIONE DEL PERSONALEIl 41% dei "cacciatori di teste" – intervistati in un sondaggio in Gran Bretagna – dichiara di aver respinto candidati sulla base di informazioni trovate online

LA PAROLA CHIAVE

Assenteismo virtuale
C'era una volta l'assenteista-collezionista di giornate di malattia fittizia, spesso alla vigilia o al termine delle ferie. Oggi anche l'assenteismo si fa più virtuale. Stare in ufficio, fisicamente alla propria scrivania davanti al computer, non equivale sempre a stare al lavoro. Si può stare con un "amico" – anche la moglie, il marito, la sorella, il figlio – a chattare su uno dei tanti social network, Facebook in testa, con modalità che di fatto costituiscono "assenze" dal lavoro. Si sottrae tempo all'attività e si viene meno alla prestazione contrattualmente dovuta al datore di lavoro. Rischiando sanzioni ad hoc.


fonte: Aldo Bottini http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2011-03-28/troppo-facebook-posto-rischio-064026_PRN.shtml

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