Solidarietà con il popolo libico

Anche l'Unicobas Scuola  di Lodi è sulla stessa linea della Cgil: "Solidarietà con il popolo libico e una ferma condanna nei confronti del silenzio incredibile da parte del nostro governo, esprimiamo la nostra solidarietà e sostegno morale alla popolazione libica che in modo pacifico sta manifestando per riconquistare democrazia, libertà di espressione e lavoro dignitoso, mentre Gheddafi si nasconde e lascia fare il lavoro sporco a cecchini ed agenti che sparano per uccidere tra la folla".


Paolo Latella
CAOS LIBIA, MIGLIAIA IN PIAZZA. SI RISCHIA IL GOLPE



TRIPOLI - Un testimone riferisce che migliaia di persone si stanno radunando sulla Piazza Verde a Tripoli. «In queste ore migliaia di cittadini starebbero affollando Piazza Verde, la ex Piazza Italia», ha riferito il testimone, che ha chiesto di rimanere anonimo. Il testimone ha anche confermato che edifici pubblici sono stati incendiati nella capitale libica. Fra questi la fonte ha detto di aver visto la sede che ospita il Congresso generale del popolo (parlamento) quando si riunisce a Tripoli.

RISCHIO GOLPE Fonti libiche hanno fatto sapere alla tv satellitare Al Jazira che all'interno dell'esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro il colonnello Gheddafi. Sul sito web della tv si ipotizza che questo sviluppo potrebbe mettere fine ai disordini in corso. Una fonte imprecisata ha comunicato ad Al Jazira che «il popolo sentirà buone notizie entro la fine della giornata». Tuttora - secondo le stesse fonti - violenti scontri si sviluppano tra quello che resta delle Guardie dei Comitati Rivoluzionari pro-Gheddafi ed i militari ribelli, al comando del capo di stato maggiore. In questi scontri sarebbe rimasto gravemente ferito il comandante delle forze speciali, Abdalla El Senoussi, che potrebbe essere addirittura già morto.

ONG: QUASI 400 MORTI Diverse città della Libia, tra cui Bengasi e Sirte, sono finite nelle mani dei manifestanti dopo le defezioni nell'esercito: è quanto ha annunciato la Federazione internazionale per i diritti dell'Uomo (Fidh). «Molte città sono cadute, in particolare nell'est e sulla costa. Alcuni militari si sono uniti» alla protesta contro il regime di Muhammar Gheddafi, ha detto all'agenzia France presse la presidente della Fidh, Suhayr Belhassen, citando, in particolare, Bengasi, bastione dell'opposizione, e Sirte, città natale del colonnello Gheddafi. Sempre secondo la Belhassem le violenze durante le manifestazioni hanno causato «tra i 300 e i 400 morti, ma probabilmente siamo più vicini ai 400». Un'altra Ong, Human Rights Watch, parla invece di un bilancio di almeno 233 morti. Le informazioni della Fidh, basata a Parigi, provengono essenzialmente dalle leghe libiche per i diritti umani. Secondo queste stesse informazioni, Bab el Azizia, il campo dove vive Gheddafi alla periferia di Tripoli, sarebbe stato attaccato nella notte tra domenica e lunedì.

OBAMA STUDIA MISURE APPROPRIATE Il presidente americano Barack Obama «sta studiando tutte le misure appropriate» per fronteggiare gli eventi in Libia, ha reso noto oggi un funzionario della Casa Bianca. Il presidente Obama è «tenuto costantemente informato» sugli sviluppi della situazione in Libia, ha aggiunto il funzionario della Casa Bianca. Il funzionario ha inoltre indicato che la Casa Bianca sta esaminando il discorso fatto alla TV libica dal figlio di Gheddafi «per vedere quali sono le possibilità di riforme serie» nel paese. «Intendiamo ottenere chiarimenti da parte dei massimi responsabili libici - ha affermato il funzionario americano - continuiamo a insistere sulla necessità di evitare violenza contro i manifestanti pacifici e sul rispetto dei diritti universali». Il presidente Obama ha ricevuto un briefing sulla situazione in Libia dal suo consigliere per la sicurezza nazionale Tom Donilon.

MERCENARI SERBI CON GHEDDAFI Mercenari serbi potrebbero già trovarsi in Libia o potrebbero partire prossimamente per combattere a fianco delle truppe del colonnello Muammar Gheddafi, secondo quanto affermato da un noto analista militare a Belgrado. «E possibile che mercenari serbi siano già andati in Libia a sostegno delle forze governative», ha detto all'Ansa Ljubodrag Stojadinovic, analista di questioni militari del quotidiano Politika. A suo avviso tuttavia, dato il breve periodo di tempo trascorso dallo scoppio della rivolta in Libia, è più probabile che eventuali mercenari partano dalla Serbia prossimamente. Stojadinovic commentava notizie apparse oggi sulla stampa italiana relative alla presenza in Libia di mercenari provenienti anche dai Balcani. «È quasi sicuro che mercenari serbi andranno in Libia per vendere la propria esperienza accumulata durante le guerre balcaniche, in particolare per quel che riguarda la guerriglia urbana e gli scontri strada per strada», ha aggiunto Stojadinovic, che è stato lui stesso un militare in passato. «I veterani dei conflitti balcanici hanno fatto di questo un mestiere». Confermando la presenza in Libia di numerose formazioni di mercenari provenienti da altri Paesi africani, Stojadinovic si è poi detto del parere che l'esercito libico si dividerà tra un gruppo di militari fanatici fedeli a Gheddafi e un'altra parte che si chiederà cosa accadrà dopo la caduta del colonnello e resterà neutrale.

LEADER ISLAMICI: RIVOLTA E' DOVERE DI OGNUNO Un gruppo di leader musulmani libici ha detto oggi che la rivolta contro la leadership in Libia è il dovere divino di ciascuno. «Hanno dimostrato una totale, arrogante, impunità e hanno continuato,e anche intensificato, i loro crimini sanguinosi contro l'umanità- Hanno così dimostrato una totale indefeltà alla guida di Dio e del suo amato Profeta (la pace sia con lui)», ha detto il gruppo, chiamato Rete dei liberi ulema di Libià. «Questo li rende immeritevoli di qualsiasi obbedienza o sostegno e fa della ribellione contro di loro, con tutti i mezzi possibili, un dovere divino», afferma ancora il gruppo in una dichiarazione ottenuta oggi dalla Reuters.

FARNESINA AGLI ITALIANI: RIPARTITE Gli italiani che vivono «stabilmente» in Libia sono 1.500 e la Farnesina e l'ambasciata «stanno consigliando di partire» con voli commerciali. Lo riferiscono a Bruxelles fonti della Farnesina, precisando che «al momento l'Italia non prevede un piano di evacuazione». Dei 1500 italiani che vivono stabilmente in Libia, 500 sono dipendenti di grandi imprese italiane. Pochissime unità vivono a Bengasi, la stragrande maggioranza è concentrata a Tripoli. «L'ambasciata italiana sta consigliando di partire, attraverso i voli Alitalia che sono ancora operativi», hanno riferito le fonti. «Chi vuole partire, con l'assistenza della nostra ambasciata, può partire. Tutte le opzioni sono allo studio, incluso un'intensificazione dei voli Alitalia», hanno aggiunto le fonti.

OPPOSITORI A ROMA: BERLUSCONI FERMO «Berlusconi fermo di fronte al massacro del popolo libico». Con questo slogan alcune decine di manifestanti libici e nordafricani hanno protestato oggi a Roma di fronte all'ambasciata della Libia chiedendo a gran voce che il governo italiano «rompa il silenzio» di fronte al «massacro» ordinato dal «dittatore» Gheddafi. «L'Italia e l'Ue sapevano benissimo come funzionano le cose in Libia. Siamo preoccupati per questo silenzio. Berlusconi non può liquidare la faccenda con un 'non disturbò». ha sottolineato il presidente della comunità del mondo arabo in Italia, Foad Aodi. Alla manifestazione, a cui ha partecipato anche Rifondazione Comunista, hanno partecipato alcune donne, e giovani originari della Libia in Italia ormai da anni. «Vogliamo una Libia migliore, siamo tutti uniti contro il massacro per avere un Paese dove ogni persona abbia quello che gli spetta» è stato l'appello di Aisha Bougrara, giovane studentessa di 14 anni. «Gheddafi, Gheddafi dai capelli ricci, vedrai il popolo che ti farà», hanno più volte urlato in coro i manifestanti di fronte alla sede diplomatica di via Nomentana. Diversi anche gli striscioni - in gran parte in arabo - esposti davanti all'edificio, uno dei quali recitava: «Vivano i nostri figli morti senza colpa e muoiano coloro che li hanno uccisi». Mentre su un grande cartellone in cui erano citate anche le rivolte tunisina e egiziana, era scritto: «Viva la rivoluzione che comincia». Gheddafi «ha minacciato il proprio popolo, ha pagato degli assassini per uccidere i suoi fratelli, degli innocenti. È una vergogna», ha spiegato Sherif Mohammed, giunto alla protesta dalle Marche. E per Mohammed la rivolta in Libia non è cominciata ora. «Da tanto tempo lottiamo per una democrazia. Mille e duecento persone sono morte per questo. Ma i tentativi di colpi di Stato sono sempre falliti perchè c'è sempre qualche traditore», ha sottolineato. Da tutti i dimostranti inoltre, sono partiti cori di disapprovazione per «il silenzio» dell'Europa. «Gheddafi ha fatto solo disastri. E dov'è l'Europa?. Perchè nessuno ha calcolato che il leader sta cadendo? Perchè nessuno parla?», è la protesta di Farak Bougrara. C'è invece ottimismo sull'esito della rivolta. «Manca solo Tripoli, la nostra vittoria è vicina. E la Libia resterà unita anche dopo Gheddafi», hanno più volte ribadito i dimostranti, annunciando un'ulteriore manifestazione per mercoledì prossimo. «E speriamo che sarà una festa, la festa della nostra libertà», è il loro grido di speranza.

LIBIA IN RIVOLTA Libia in fiamme nel settimo giorno dall'inizio della rivolta contro il governo che non risparmia più neppure Tripoli: nella capitale è stata saccheggiata la sede della tv di Stato, mentre l'ufficio del governo centrale ed altri uffici pubblici sono stati dati alle fiamme. Fonti mediche non confermate parlano di 61 morti nella sola giornata di oggi, mentre il bilancio delle vittime stimato da Human Rights Watch dall'inizio degli scontri è arrivato a quota 233 persone uccise. Cifre che Saif al Islam, il figlio di Muammar Gheddafi, ha negato nella tarda di ieri in un discorso in tv nel quale ha però ammesso che per la sua struttura tribale e per il petrolio la Libia potrebbe sprofondare nella guerra civile. Per il figlio del leader libico nel Paese è in atto un «complotto» ordito da un non meglio precisato «movimento separatista». Muammar Gheddafi non ha lasciato il Paese, ha poi assicurato Saif e oggi gli hanno fatto eco altre fonti locali - «sta guidando la lotta a Tripoli e vinceremo». Per quanto riguarda la protesta, il figlio del leader libico ha ammesso «errori» nella gestione della crisi e ha detto che in alcuni casi la reazione delle forze di sicurezza è stata «eccessiva». Intanto però, l'onda lunga della rivolta si propaga: gli ambasciatori libici in Cina e India si sono dimessi, il primo speculando su una «possibile fuga di Gheddafi all'estero», il secondo annunciando l'addio per protestare contro la repressione violenta delle dimostrazioni. E, mentre l'Ue valuta l'evacuzione dei cittadini europei dal Paese, con le compagnie petrolifere che hanno già avviato le operazioni di rientro, compresa Finmeccania, è unanime la condanna internazionale per quanto accade nel Paese. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha fatto appello a «non ricorrere all'uso della forza e a rispettare le libertà fondamentali», rivolgendosi alla Liba e alle altre rivolte che infiammano il mondo arabo. Gli Stati Uniti dal canto loro stanno valutando «tutte le azioni appropriate» in risposta alla violenta repressione delle manifestazioni.  

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